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Star Strays

(Vagabondi delle stelle)



Qual è la natura del viaggio? Quale desiderio soddisfa? Alcuni celebri personaggi della letteratura hanno cercato di rispondere a queste stesse domande. Vediamo le loro esperienze.

Sir Gwain parte dalla confortevole reggia di Artù alla ricerca di nuove avventure e paesi sconosciuti per rispondere ad una sfida. Odisseo affronta due viaggi: il primo per andare in guerra, il secondo, ben più importante, per ritornare a casa. Bilbo Baggins è suo malgrado coinvolto nella cerca (quest) di un vecchio e famoso tesoro. Apparentemente gli esempi citati non hanno nulla in comune, ma non è proprio così. Che cosa hanno acquisito nelle loro avventure questi viaggiatori?

Sir Gwain fa esperienza dell'amore, incontra la morte e ne esce spiritualmente più forte, rinsalda la sua Fede. Odisseo nel suo vagabondare di terra in terra e di mare in mare ha visto molte meraviglie, sofferto le privazioni dell'esule, perso numerosi amici, affrontato innumerevoli pericoli. Bilbo ha misurato la propria identità nel confronto con un mondo più vasto, ricco di prodigi e di pericoli, accumulando esperienza e saggezza e riuscendo alla fine a tenere testa al Drago, ultimo degli ostacoli che la Cerca gli ha posto di fronte.

La dimensione spaziale e temporale di questi viaggi appare dilatata e ci permette di capire che lo scopo del viaggio non è il raggiungimento di una meta precisa, nel caso di Odisseo l'agognato ritorno a casa, ma io credo sia il vedere meraviglie da alcun uomo mai viste prima.

Odisseo avrebbe la possibilità di sfuggire all'incontro con il Ciclope, ma non può farlo, poiché desidera vedere il volto mostruoso del gigante.

Gwain cavalca verso la morte per tenere fede alla parola data, ma durante il viaggio non può fare a meno di vagabondare per strane contrade e affrontare draghi, orchi e giganti. Bilbo, che non brilla per coraggio, è diviso tra la paura ed il desiderio di vedere il grande drago Smaug, alla fine vincerà la curiosità.

La meta e il motivo che spinge al viaggio, in fondo hanno poca importanza, non è tanto importante arrivare alla fine, quanto vedere creature prodigiose, la faccia oscura del mondo, i mostri del tempo che precede l'alba. Nella cultura germanica antica esiste un tipo speciale di stupidità, proprio di chi è rimasto a casa e non ha visto nulla del mondo (Heimskr).

Il viaggio allora è esperienza di formazione, aspirazione alla conoscenza.

Tutte le Cerche portano con sé l'esaurirsi dell'avventura nell'appropriarsi della conoscenza, nel giungere infine alla meta.

La fine di un viaggio porta con sé il solidificarsi, il concretizzarsi, il materializzarsi dell'esperienza, che da quel momento in poi è sempre a portata di mano, ferma nel tempo, chiusa nell'orizzonte finito del ricordo, riesumabile a piacere e ripetibile all'infinito ogni qual volta il pensiero trovi utile il paragone con una situazione od un avvenimento presente.

Raccontare un viaggio, cercarlo ed evocarlo dalle nebbie della memoria, confuso com'è con il sogno, con il ricordo, e rappresentarlo, è un'arte negromantica poiché resuscita un “morto”, ormai archiviato nel capiente contenitore delle esperienze vissute nel corso del tempo.

Tutte le storie in cui rimaniamo impigliati, siano esse frutto dell'immaginazione fertile di un narratore o al contrario vissute ed esperite in prima persona, svelano il loro senso solo quando sono concluse e sintetizzate dalla parola fine. L'altro lato della medaglia è che quando appare il senso, esso nasce da qualcosa di morto, catalogato ed acquisito una volta per tutte esso appare come un fantasma, manifestazione di qualcosa che una volta era vivo e pulsante.

Allora? Cosa fare per riportare al centro l'esperienza nel suo farsi e le infinite possibilità che porta con sé? La soluzione sta nei versi di Bilbo:

“La Via prosegue senza fine

Lungi dall'uscio dal quale parte

Ora la Via è fuggita avanti,

Devo inseguirla ad ogni costo

Rincorrendola con i piedi alati

Sin all'incrocio con una pista più larga

Dove si uniscono piste e sentieri.

E poi dove andrò? Nessuno lo sa.”


Attardarsi, indugiare, aprirsi all'inaspettato, lasciarsi distrarre dalle imprese che si presentano durante il cammino, allontanare la tentazione della meta, dilatare lo spazio del viaggio, ampliarlo fino al suo confine ultimo, fonderne l'esperienza con l'errare dell'esistenza. Questa è la strada da percorrere. Come nel viaggio così nell'esperienza, il senso ultimo non risiede nella meta ma nel suo divenire.


Ideato e scritto da



Giuseppe Ruiu









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